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Pindaro

Olimpiche

Edizione Acrobat

a cura di

Patrizio Sanasi

(patsa@tin.it).2

PER HIERON DI SIRACUSA COL CORSIERO

Ottima è l'acqua, l'oro come fuoco acceso

nella notte sfolgora sull'esaltante ricchezza:

se i premî aneli

a cantare, o mio cuore,

astro splendente di giorno

non cercare più caldo

del sole nel vuoto cielo -

né gara più alta d'Olimpia celebriamo,

onde l'inno glorioso incorona

con pensieri di poeti: che gridino

il figlio di Krónos, giunti alla ricca

beata dimora di Hiéron!

Regale impugna uno scettro nella Sicilia

ricca di frutti mietendo il sommo di ogni virtù,

e gioisce del fiore

migliore della poesia -

canti onde spesso giochiamo

adulti intorno alla mensa amica. Ora

togli la dorica cetra

dal chiodo, se a te la gloria di Pisa e Pherénikos

soggiogò la mente ai pensieri più dolci:

quando sull'Alpheiós balzò porgendo

senza sprone il corpo

alla corsa e allacciò il padrone al trionfo,

il re siracusano lieto

di cavalli. E gloria gli splende

nella maschia colonia del lidio Pélops.

Bramò l'eroe il possente Gaiáochos

Poseidôn, quando dal bacile che monda

Klothó lo tolse

bello d'avorio la spalla scintillante.

Molte le meraviglie, e certo

oltre la verità traviano

- voce di uomini - i miti adorni

di cangianti menzogne.

Grazia che crea dolcezze ai mortali

infonde valore e dona sovente

credito all'incredibile;

ma i giorni venturi

sono giudici accorti.

È giusto che l'uomo pronunci

dei numi il bello; è minore la colpa.

Figlio di Tántalos, dirò di te contro gli antichi:

quando al banchetto armonioso

in Sipilo amica il padre invitò

gli dèi a scambievole cena,

ti rapì il dio dal tridente splendido,

vinto da passione, e su auree cavalle

ti trasse all'altissima reggia di Zeus venerato:

dove in tempo futuro

venne anche Ganymédes

per Zeus, allo stesso servigio.

E come svanisti e pur cercandoti molto

nessuno ti rese alla madre,

súbito tra i vicini invidiosi qualcuno furtivo

affermò che al colmo bollente dell'acqua

una lama ti smembrò,

e con le ultime carni in tavola

sbranato ti divorarono.

Mai riuscirei a dir schiavo

del ventre uno dei beati. Arretro.

Nessun guadagno tocca ai blasfemi.

E se un uomo mortale i custodi d'Olimpo

onorarono, quello fu Tántalos. Poi

non seppe smaltire

il peso della felicità, e s'attrasse

ingordo rovina soverchiante, che sopra

gli appese immane roccia suo padre,

ed agogna a stornarla dal capo

e vaga remoto dalla gioia.

Insanabile ha questa vita di pena incessante,

quarto travaglio con altri tre: poiché

agli amici coetanei diede -

furto agli dèi - un banchetto

di nettare e ambrosia, con cui imperituro

l'avevano reso. Sbaglia se crede

d'eludere il dio, operando, l'uomo.

Sospinsero il figlio gli dèi immortali

di nuovo alla stirpe caduca degli uomini.

E quando nel rigoglio del corpo

gli coprì una nera lanugine il volto,

pensò a pubbliche nozze, a vincere

al padre pisatide la nobile Hippodámeia.

Venuto al bordo del grigio mare, solo nell'ombra

chiamava il dio del tridente

dal cupo rombo; e quello

prossimo ai piedi gli apparve.

Gli disse: «Se gli amorosi doni di Kypría

sono fonte di gioia per te, o Poseidôn,

irretisci la bronzea lancia di Oinómaos,

e me sul più rapido carro guida

nell'Elide, e accostami alla vittoria.

Perché tredici eroi pretendenti

uccise e rimanda le nozze

della figlia. Il grande rischio

respinge un uomo codardo.

Destinati alla morte, a che nel buio

inerti smaltire invano una vecchiaia

senza nome, lontani dalla gloria?

Ora io a questa lotta

andrò; tu, dà amico l'evento».

Disse così - ed a parole efficaci

ricorse. Onorandolo il dio

gli diede un cocchio d'oro e corsieri

instancabili d'ali.

Vinse la forza di Oinómaos e la vergine a nozze;

generò sei figli, prìncipi ansiosi di gloria.

Ora ad offerte di sangue

festive partecipa

steso al letto dell'Alpheiós.3

e la tomba è meta di molti

all'altare ospitale, e di lontano brilla

nelle corse delle Oiimpiadi la gloria

di Pélops. Là sono in lotta prontezza

di piedi e tensione orgogliosa di sforzi:

per la vita avvenire chi vince ha

deliziosa serenità

dalle gare. Massimo viene ad ognuno

il bene prodotto dal giorno. Ed io incoronare

lui con equestre canto

con eolica melodia

devo, certo che amico ospitale,

tra gli uomini d'oggi, insieme più esperto

del bello e regale al potere

mai ornerò con volute famose di inni.

Provvido ai tuoi pensieri vigila

il dio che t'è prossimo,

o Hiéron. Né mai desista; perché

io miro a cantarti trovando

ancora più dolce col carro

veloce una via alleata di parole,

giunto alla luce del Krónion. Per me la Musa,

per il mio vigore alleva un dardo poderoso.

Altezze diverse per l'uomo:

culmina l'ultima vetta

coi re. Non scrutare più avanti.

Possa tu d'ora innanzi incedere in alto

ed io così ai vincitori

accostarmi insigne per maestria

tra i Greci dovunque.

PER THERON DI AGRIGENTO, COL CARRO

Prìncipi della cetra, inni:

quale dio qual eroe quale uomo faremo risonare?

Sì! Pisa è di Zeus, Heraklês

fondò l'Olimpiade

primizia di guerra,

e Théron per la quadriga vittoriosa

va celebrato: giusto in riguardo agli ospiti,

baluardo d'Agrigento,

per la città rassicurante fiore di padri illustri:

che nel cuore a lungo provati

ebbero la dimora sacra del fiume e furono l'occhio

di Sicilia - e li incontrò un tempo fatale

aggiungendo ricchezza e splendore

alle innate virtù.

Ora, o Krónios figlio di Rhéa che governi la sede

d'Olimpo

e il culmine delle gare e il corso dell'Alpheiós,

tu sedotto dai canti

benigno la terra paterna preserva a loro,

alla stirpe ventura. Di quel che è fatto,

sia giusto o ingiusto, neppure

il Tempo padre di tutto

saprebbe annientare l'evento:

ma in sorte lieta l'oblio può nascere,

e muore sotto nobili gioie il dolore odioso,

riluttante domato

quando la Moîra del dio innalzi al cielo

la prosperità. Così è la storia delle figlie

di Kádmos, eroine che molto patirono:

greve è la pena, ma cade

di fronte a beni più grandi.

Vive tra gli Olimpî spenta da boato

di folgore Seméle chioma distesa,

e l'amano sempre Pallás

e il padre Zeus, molto la ama il figlio fiorito d'edera;

e dicono ch'entro le acque

tra le marine foglie di Neréus vita perfetta

si stende per Inó attraverso il tempo.

Certo per i mortali non sta

fissa una soglia di morte,

né quando un giorno figlio del sole

s'acquieterà alla fine in pura felicità:

flutti diversi, momenti alterni

di gioia e d'affanno vengono agli uomini.

Così la Moîra, che di costoro serba

di padre in figlio il destino amico, reca

col bene divino talora anche

una pena, che muta nel tempo:

da quando all'incontro il figlio fatale

uccise Láios ed il responso, antica

voce di Pito, avverò.

Penetrante lo vide Erinýs

e di morte fraterna gli estinse la prole guerriera.

Ma al caduto Polynéikes Thérsandros

sopravvisse, splendido in gare

di giovani e in scontri di guerra, e fu

il germoglio che regge la casa degli Adrastídai:

seme onde ha la radice il figlio di Ainesídamos,

cui s'addicono

festa di canti e il suono della lira.

Egli infatti in Olimpia raccolse

il premio, e in Pito e all'Istmo al fratello

d'uguale sorte Chárites imparziali

recarono fiori per carri che girano

dodici volte: il vincere scioglie

dall'ansia chi si cimenta allo spasimo.

Ricchezza istoriata di meriti

offre occasioni diverse

e alimenta profondo un impulso di preda;

è chiara stella, veracissimo scintillio

per l'uomo - purché s'aggiunga vedere il futuro:

che dei morti quassù le menti

sconsiderate pagano il fio

súbito - e sotto la terra le colpe di qui,

del regno di Zeus, qualcuno le giudica

e parla con implacabile necessità.

Ma ai buoni per notti uguali sempre

e giorni uguali nel sole è in premio.4

un vivere senza fatica, e non solcano

il suolo in tensione di braccia

né l'acqua del mare per colpa

d'un magro vitto: con dèi venerandi, chi

lieto osservava i giuramenti

passa un'età senza pianto; gli altri

sopportano un peso ripugnante.

E chi restando tre volte di qua e di là

della morte ha saputo tenace stornare

dal male l'anima, compie il cammino di Zeus

alla città murata di Krónos: dove

brezze oceaniche avvolgono

l'Isola dei Beati e fiori d'oro irraggiano -

in terra da alberi fulgidi,

ed altri ne nutre l'acqua -, monili

onde allacciano i polsi e intrecciano serti:

è nel giusto volere di Rhadámanthys,

che assiste al fianco il padre supremo

sposo di Rhéa sovrastante

dal trono più alto.

Peléus e Kádmos sono con loro;

portò Achilléus, piegato con suppliche

il cuore di Zeus, la madre:

Héktor aveva ucciso, invincibile immota

colonna di Troia, e Kýknos diede alla morte

e l'etiope figlio di Aurora. Molti veloci

dardi sotto il mio braccio

ho dentro la faretra, voci

chiare a chi intende, e in tutto esigono

interpreti. Saggio è chi molto sa

di natura, gli addottrinati gracchiano

a vuoto ciarle sfrontate: un paio di corvi

contro il divino uccello di Zeus.

Drizza ora l'arco al bersaglio, animo mio! A chi

miriamo

scagliando da mente cordiale

frecce di gloria? Agrigento

è la meta, e diremo alte

con cuore sincero parole giurate:

non partorì in un secolo questa città

uomo di pensieri premurosi,

di mano munifica verso gli amici

più di Théron. Ma alla lode s'attacca un fastidio

compagno non di giustizia ma frutto d'uomini vili

e bramoso che il molto parlare

avvolga di tenebra le opere belle

dei grandi. Perché - la sabbia sfugge al numero:

e lui, quante gioie donò ad altri

chi potrà mai dire?

PER THERON DI AGRIGENTO, COL CARRO

Ai Tyndarídai ospitali e a Heléna

bella di riccioli voglio

piacere onorando Agrigento famosa

ed ergendo per Théron ad inno

olimpionico il fiore di cavalli

dai piedi instancabili. Certo per questo la Musa

mi fu vicina, e trovavo un modo brillante,

un accordo nuovo di voce festosa e di ritmo

dorico. Ora da me le ghirlande

annodate alla chioma

reclamano un debito eretto dal dio:

che io fonda in giusta misura il vario

tono di cetra e clamore di flauti e una

trama di voci per il figlio di Ainesídamos - e

Pisa esige la mia parola. Di lì

canti elargiti dal dio vengono agli uomini,

quando adempiendo le antiche norme di Heraklês

il fermo Hellanodíkas, uomo d'Etolia, a taluno

dall'alto sopra le ciglia

cala intorno ai capelli

il grigio ornamento d'ulivo. Lo portò

un giorno - trofeo splendido dei giochi

d'Olimpia - il figlio di Amphitrýon

dalle ombrose fonti dell'Ístros,

e il popolo degli Iperborei servo

d'Apollo persuase con la parola:

con mente leale chiedeva per il recinto

accogliente di Zeus una pianta, ombra

comune per tutti e corona al valore.

A lui, consacrati al padre gli altari, dall'aureo

cocchio una luna di mezzo mese

già aveva acceso di sera l'occhio rotondo;

e il sacro giudizio dei grandi giochi

e il ciclo di quattro anni

egli aveva sancito sui bordi divini dell'Alpheiós:

ma d'alberi belli non era fiorente

il suolo nella vallata di Pélops Krónios.

Nudo di tutto, il giardino gli apparve

prostrarsi ai raggi acuti del sole.

Allora il cuore lo mosse a recarsi

alla terra dell'Ístros: dove la figlia di Letó,

dea di cavalli, l'aveva incontrato - e veniva

dai balzi, dalle gole sinuose d'Arcadia,

quando con i messaggi d'Eurysthéus

lo urgeva l'imperio del padre

a ricondurre la cerva di corna

dorate, la femmina che Taygéta

offrì con la dedica «sacra a Orthosía».

Giunse, inseguendola, fino al paese

di là dei soffi del freddo

Boréas; stette, e stupiva degli alberi.

D'essi un desiderio dolce lo prese:

piantarli alla meta dei dodici giri

per la corsa di cavalli. Ed ora a questa

festa viene benigno insieme ai gemelli

pari a dèi, figli di Léda slanciata.

Poiché a loro salendo all'Olimpo affidò

la guardia dell'agone mirabile,.5

prova di forza virile e di guida esperta

sul carro veloce. E a me ora l'animo

sprona a dire che per gli Emmenídai

e Théron la gloria giunse dono dei Tyndarídai

dai bei cavalli; ché a loro in mense ospitali

s'accostano più di ogni altro,

con pio intento osservando i riti dei beati.

Se l'acqua primeggia e tra i beni

l'oro è il più venerabile,

ora al confine estremo

Théron approda, e da meriti propri

sbarca alle colonne

di Heraklês. Oltre è precluso a saggi

e non saggi. Io non voglio provarci. Sia folle, prima!

PER PSAUMIS DI CAMARINA

Auriga eccelso del tuono dai piedi instancabili,

Zeus! Sono tue le Hôrai che volgono,

e che con canto e melodia di cetra m'inviarono

testimone alle gare più alte.

Quando agli ospiti arride il successo

tosto alla dolce notizia esultano i buoni.

Figlio di Krónos che il peso dell'Etna

ventoso premi su Typhós tremendo

di cento teste,

accogli il corteo olimpionico,

che grazie alle Chárites è

durevole luce di imprese possenti.

Per il carro di Psaûmis viene,

che cinto d'ulivo pisatide anela a levare

gloria su Camarina. Il dio sia benigno

ai suoi voti per l'avvenire.

Perché io lo lodo: egli ama allevare cavalli

ed è lieto d'accoglienze ospitali

e devoto con animo puro

a Hesychía amica di città.

La mia parola non tingo di menzogna:

il valore dell'uomo risulta alla prova.

Il figlio di Klýmenos essa

liberò dallo scherno delle donne di Lemno.

Vinse la corsa nelle armi di bronzo,

e giunto al premio disse a Hypsipýle:

«Ecco la mia velocità:

mani e cuore, lo stesso. Spesso

anche ai giovani crescono

capelli grigi anzi tempo».

PER PSAUMIS DI CAMARINA, COL CARRO DA

MULE

Fiore dolce d'imprese eccelse

e di ghirlande olimpiche accogli

con cuore ridente, figlia dell'Okeanós:

doni di Psaûmis

e del carro dai piedi instancabili.

Lui, o Kamárina, accrebbe la tua città

popolosa, quando i sei duplici altari

onorò alla festa suprema dei numi

con sacrificî di armenti

e in lotta in gare di cinque giorni:

quadriga e mule e cavallo montato. Ed a te

dedicò vincitore una gloria

soave, e il nome del padre bandì -

di Ákron - e della patria or ora risorta.

Viene dall'amabile terra

d'Oinómaos e Pélops, e canta, o Pallás

poliade, il tuo bosco puro

e il corso dell'Óanos e

il lago di questo paese,

e i sacri canali onde l'Hípparis

bagna le genti e veloce

salda una selva di tetti

robusti, traendo un'intera

città dalla penuria alla luce.

Sempre combattono tesi al successo

sforzo e denaro, a una meta pur sempre

velata di rischio. Ma è saggio

anche per i concittadini chi riesce.

Zeus Salvatore alto fra i nembi,

tu che abiti il colle Krónios e onori

il maestoso Alpheiós e l'antro augusto

sull'Ída, supplice tuo cantando

al suono di flauti lidî io giungo:

adorna, ti prego, di schiere di forti

questa città. E a te, vincitore

d'Olimpia, conceda il dio tra cavalli

di Poseidôn la gioia d'un'età

fino in fondo serena, attorniato

di figli, o Psaûmis. Chi irriga

una sana fortuna

e ai beni, appagato, aggiunge

la gloria, non chieda di farsi dio.

PER HAGESIAS DI SIRACUSA, COL CARRO

DA MULE

È come quando il solido atrio

d'un tempio elevando

il maestoso edificio affidiamo a colonne

dorate: al principio dell'opera occorre

porre una fronte che irraggi lontano. Se c'è

chi sia vittorioso ad Olimpia

e ministro in Pisa dell'ara presaga di Zeus

e colono della nobile Siracusa,

a qual inno potrebbe sfuggire

quell'uomo incontrando.6

cittadini generosi, tra amabili canti?

Sappia infatti il figlio di Sóstratos che

in questo calzare egli tiene il suo piede

favorito dal dio. Imprese senza pericolo

non hanno onore tra gli uomini né sulle concave

navi; molti invece ricordano,

quando il successo arride al cimento.

Hagesías, per te è pronta la lode che eloquente

Ádrastos un giorno, e giustamente, proclamò

di Amphiáreos, vate figlio

d'Oiklês, quando la terra lui

e le lucenti cavalle inghiottì.

Sette pire di corpi s'eran contate

già, e dinanzi a Tebe disse

queste parole il Talaionídes:

«Rimpiango l'occhio della mia armata:

l'indovino valente e il lanciere

prode in battaglia». Ed è quanto

s'addice al siracusano, signore della festa.

Di ciò non da rissoso né in cerca di sfide vane,

anzi giurando il giuramento grande, gli dò

chiara testimonianza. Le Muse

approveranno con voce di miele.

E dunque, Phíntis, aggiogami

ora il vigore delle mule

al più presto, perché su un percorso aperto

guidiamo il carro ed io giunga alla stirpe,

all'origine prima. Ché esse meglio

di tutte sanno avanzare

su questo cammino, poiché in Olimpia

ebbero i serti: e per loro occorre

splancare le porte degli inni.

Da Pitáne oggi, sul corso

dell'Eurótas, è tempo di andare:

lei, si narra, congiunta

al Krónios Poseidôn

partorì Euádne trecce di viola.

Celò nelle pieghe del peplo la maternità

di fanciulla, e al compiersi dei mesi

ordinò alle ancelle di andare, e di dare

la bimba alle cure dell'eroe Eilatídes,

che regnava sugli Arcadi in Phaisána

ed ebbe per dimora l'Alpheiós.

Là crebbe, e da Apollo

gustò le prime dolcezze d'Aphrodíte.

Ma non seppe nascondere ad Áipytos

sino alla fine il frutto occulto del dio.

E quello, compressa nell'animo con aspro

sforzo un'ira indicibile,

andava a Pito a sentire l'oracolo

su questa orribile sciagura.

Deposta la fascia scarlatta e la brocca

d'argento, in una macchia oscura lei generava

un figlio di cuore divino. Il Chiomadoro

le accostò Eléithyia

gentile e le Moîrai con lei:

e dalle viscere, da una doglia

gioiosa Íamos venne

alla luce, súbito. Straziata,

lo lasciò sul suolo; due serpi

dagli occhi cerulei - volere dei numi -

solleciti lo nutrirono

dell'innocente veleno di api. Ed il re,

quando da Pito rocciosa in fretta

arrivò, a tutti dentro la reggia

chiedeva del bimbo nato da Euádne:

diceva che è prole di Phoîbos

e sui mortali svetterà profeta eccellente

per gli uomini, né perirà la sua stirpe.

Così rivelava. Negarono quelli

d'averlo udito o visto, ed era

di cinque giorni già: nascosto

tra i giunchi nella boscaglia impenetrabile,

tenero corpo inondato

dai raggi chiari e purpurei

delle viole - onde la voce della madre

volle che si chiamasse per sempre

dal loro nome immortale. E quando

ebbe colto il frutto di Hébe squisita

incoronata d'oro, sceso nel mezzo dell'Alpheiós

chiamò Poseidôn, l'avo materno

dall'ampio potere, e l'arciere custode

di Delo eretta dal dio;

e chiedeva per sé la grazia del regno

nell'aria notturna. Lo cercò la voce

del padre, gli rispose chiara: «Alzati, figlio,

vieni alla terra ospitale,

qui, dietro alla mia parola».

Giunti alla roccia battuta

dal sole, all'alto Krónion,

lì gli donò un tesoro doppio

d'arte profetica: udire la lingua

ignara del falso - poi, quando

venga Heraklês animoso

sacro germoglio degli Alkaídai e fondi

in onore del padre la festa affollata

e la norma suprema dei giochi,

l'ordine fu che in cima all'altare

di Zeus ponesse un oracolo.

Da allora è illustre tra i Greci la gente

degli Iamídai; ed anche venne

opulenza. Apprezzando il valore

seguono una via splendente: lo prova

ogni loro impresa. Biasimo nato di fuori,

da gente invidiosa, incombe

su quanti al dodicesimo giro per primi

spingono il carro, su quanti la Grazia augusta

cosparge di nobile bellezza.

Ma se davvero, Hagesías, i tuoi

avi materni vivendo alle falde

del monte Kylléne al messaggero

degli dèi donarono suppliche e sacrifici

abbondanti spesso piamente - ad Hermês.7

che regge gli agoni e ha in retaggio

le gare ed onora l'Arcadia prode-,

lui, o figlio di Sóstratos,

col padre dal cupo tuono compie la tua fortuna.

Ho fama d'aver sulla lingua una cote sonora.

E benvenuta s'accosta a me con soffi

di bella corrente la stinfalide madre

di mia madre, Metópe fiorita

che generò Thébe agitatrice di

cavalli: alla sua acqua deliziosa

attingendo intreccerò un inno variato

per genti guerriere. Incita ora i compagni,

Ainéas, a far risonare

Héra Parthenía

e a conoscere poi se con detti veraci scampiamo

l'insulto antico: «scrofa beotica». Tu

sei un messo fedele,

una scìtala delle Muse chiomate,

un dolce cratere di canti che suonano alto.

Dì che ricordino

Siracusa e Ortygía:

Hiéron la regge con puro scettro

e saggi disegni, onorando

Deméter dai piedi di porpora e i riti

della figlia dai bianchi cavalli

e la forza di Zeus Aitnaîos. Lire e canti

la conoscono, voci soavi. Il tempo

che avanza non turbi la sua fortuna,

lei con amabile impegno d'amicizia

accolga il corteo di Hagesías

che viene in patria da patria,

dalle mura stinfalie,

e lascia la metropoli d'Arcadia ricca di greggi.

È un bene nella notte tempestosa

dalla nave veloce aver gettato

due àncore. A questi e a quelli

assicuri un destino glorioso il dio amico.

Signore padrone del mare, concedi una rotta

rapida, scevra d'affanni, o sposo

di Amphitríte dal fuso d'oro - e dei miei

inni fa crescere il fiore gioioso.

PER DIAGORAS DI RODI, PUGILE

Come chi da mano generosa un calice

ribollente di rugiada di vite

in dono porga

al giovane sposo - e l'alzava brindando

da casa a casa massiccio d'oro, vertice dei

beni:

lo splendore della festa

e il genero onora, tra gli amici

presenti lo fa invidiato per nozze concordi -,

anch'io nettare distillato, omaggio delle Muse,

ai vincitori invio dolce frutto della mente,

e m'ingrazio

chi in Olimpia e in Pito

prevalse. Felice chi parole di lode avvolgono:

ora l'uno ora l'altro protegge

la Grazia feconda, spesso,

con cetra soave e flauto di mille voci.

Ed ecco al suono d'entrambi

io con Diagóras venni, a cantare

la figlia marina d'Aphrodíte,

Rhódos sposa del Sole:

e che il gigante dritto allo scontro,

l'uomo incoronato sull'Alpheiós

e a Kastalía

io lodi in premio alla lotta, e con lui

il padre Damágetos caro a Díke!

Vicino al rostro dell'Asia immensa un'isola

di tre città abitano con lancieri argivi.

Dall'inizio per essi, da Tlapólemos,

come pubblico bando volentieri io drizzo

una storia comune a loro,

stirpe possente di Heraklês. Ché Zeus

vantano padre e sono per via materna

Amyntorídai da Astydámeia.

Ma le menti degli uomini errori

infiniti assediano; né è dato trovare

ciò ch'è meglio per noi oggi e così alla fine.

In Tirinto infatti il fratello spurio

di Alkména,

Likýmnios giunto dal talamo di Midéa,

colpì con mazza di duro olivo un giorno,

e l'uccise, il fondatore di questa

terra, irato: i sussulti dell'anima

travolgono anche il saggio. E venne a sondare il dio.

E a lui il Chiomadoro

dal santurario odoroso disse uno stuolo

di navi dal lido lernèo

dritto alla dimora cinta dal mare,

dove un tempo il re degli dèi inondava

di aurei fiocchi la città,

e per l'arte di Héphaistos

con scure forgiata nel bronzo

Atena sul capo del padre

balzando urlò con voce strapotente.

Ne tremarono il Cielo e la Terra madre.

Allora il dio Hyperionídes, luce ai mortali,

prescrisse ai figli d'adempiere

un dovere imminente:

primi alla dea ponessero

un altare cospicuo e sacro rito facendo

scaldassero il cuore al padre

e alla figlia lancia di tuono. Efficacia

e gioie largisce all'uomo la cautela del preveggente.

Ma cala non vista una nube d'oblio

e svia dalla mente il dritto

corso delle cose.

Perché salirono sì, ma non con seme

di fiamma ardente: E con spenti sacrificî.8

fondarono il tempio sulla rocca.

Una nuvola bionda gli addusse,

piovve abbondante oro: accordò la Glaukôpis

che in ogni arte valessero

con mani eccellenti sui mortali.

Le vie recavano opere

pari a viventi in cammino,

e fu alta la gloria. Nell'abile anche un'arte

superiore si mostra onesta.

Dicono antiche storie

degli uomini che, quando la terra

spartirono Zeus e gli dèi immortali,

invisibile ancora sul liscio mare Rodi

giaceva occulta in abissi salmastri.

Assente lui, di Hélios nessuno indicò la parte:

senza retaggio di terra lasciarono

il puro dio.

Al suo rimbrotto Zeus già estraeva le sorti

di nuovo. S'oppose il Sole: vedeva,

disse, dentro le grigie acque

dal fondo crescere un suolo,

terra feconda agli uomini, benigna alle greggi.

Súbito, ingiunge, Láchesis cinta d'oro

stenda le mani e proclami franco il giuramento

grande dei numi,

e col figlio di Krónos accenni:

sarà suo quel dono per sempre

emerso nell'aria luminosa.

Si compì il culmine delle parole

accadendo in realtà: sbocciò dal mare umido

l'isola, e la governa il padre

principio di raggi appuntiti,

signore di cavalli soffianti fuoco.

Là si congiunse a Rhódos e generò

sette figli dotati dei pensieri

più destri tra gli uomini

di tempo remoto. Uno di loro Kámiros

generò e Iálysos il maggiore

e Líndos; ebbe per sé ognuno,

tripartita la terra paterna,

appannaggio di città, sedi dai loro nomi.

Dolce compenso a sciagura pietosa

sta per Tlapólemos guida dei Tirintî -

destino eroico -

una processione pingue d'armenti

e il giudizio nei premî. Quei fiori Diagóras

cinse due volte, e quattro

sull'Istmo famoso vincendo,

e a Nemea una volta e un'altra, e in Atene rocciosa.

Lo conobbero il bronzo di Argo e i premî

in Arcadia e a Tebe e le cadenze festive

dei Beoti,

e Pellene: in Egina vinse

sei volte né altro conto ha in Megara

la stele di pietra. E dunque,

Zeus padre che regni sui gioghi

dell'Atabýrion, accresci il canto di rito al trionfo

olimpico e l'uomo che pugilando

incontrò il successo. Dagli favore

e rispetto fra cittadini e stranieri.

Perché una via nemica d'arroganza

percorre sicuro, ben sa cosa l'animo fermo

gli insegna da nobili

padri. Non oscurare il seme

comune di Kalliánax:

con le gioie degli Eratídai ha

anche la città una festa. In un unico istante

ondeggiano venti diversi veloci di qua e di là.

PER ALKIMEDON DI EGINA, LOTTATORE

RAGAZZO

Madre dei giochi incoronati d'oro, Olimpia

sovrana di verità: dove i profeti interpretando

vittime in fiamme chiedono

a Zeus dal fulmine abbagliante

se ha un disegno propizio per uomini

ansiosi nel cuore

di cogliere il grande successo,

sollievo agli affanni!

E si compiono grazie a pietà le suppliche.

Tu ora, bosco frondoso di Pisa all'Alpheiós,

accogli questo corteo, processione

di serti. Grande è la gloria, sempre,

di quanti il tuo splendido premio raggiunge.

Beni diversi toccano all'uno,

all'altro; e con gli dèi

sono molte le strade della felicità.

Voi, Timosthénes, il fato assegnò

a Zeus genitore: che te fece illustre a Nemea,

vincitore Alkimédon a Olimpia,

al colle di Krónos.

Era bello alla vista, e la bellezza confermò

sul campo quando vincendo nella lotta

fece bandire la patria Egina dai lunghi remi:

dove compagna di Zeus ospitale la salvifica

Thémis è in pregio più che in ogni altro

luogo. Un giudizio corretto di ciò che abbonda

e in molti modi inclina la bilancia

è dura lotta per l'animo giusto: ma un ordine

degli immortali anche questo paese

abbracciato

dal mare drizzò colonna divina

per ospiti d'ogni città -

il tempo che sorge

non cessi di reggerla! -

e lo governa un popolo dorico fin da Aiakós.

Lui il figlio di Letó e Poseidôn dall'ampio regno,

intesi a coronare Ilio

di mura, associarono

all'opera, essendo fatale che essa.9

al destarsi di guerre

in battaglie devastatrici

esalasse un fumo vorace.

Glauchi serpenti - era appena compiuto il baluardo -

vi balzarono sopra: tre, ma due caddero

e súbito attoniti spirarono la vita,

uno lo sormontò strepitando.

Tosto intendendo il prodigio avverso Apollo disse:

«Pergamo è presa, eroe,

dall'opera della tua mano.

Così a me parla la visione giunta

da Zeus Kronídes dal cupo tuono.

E non senza i tuoi figli: coi primi e coi terzi

sarà atterrata». Aveva detto chiaramente il dio,

e veloce puntò sullo Xántos e verso

le Amazzoni equestri e alla volta dell'Ístros.

L'agitatore del tridente tese

il rapido carro all'Istmo marino,

e condusse Aiakós di nuovo

qui su auree cavalle:

tornava a guardare la costa corintia insigne di feste.

Non c'è un piacere uguale tra gli uomini.

E se ripercorro col canto la gloria

venuta a Melesías da giovani imberbi,

non mi percuota con pietra aguzza l'invidia;

ché anche proclamo

identico onore a Nemea

e l'altro, poi, dal pancrazio in lotta

di adulti. Insegnare è facile

quando si sa; non apprendere prima, assurdo:

è leggero l'animo degli inesperti.

Chi sa può illustrare più in là

degli altri la via che farà progredire

l'uomo agognante

dai sacri giochi il compenso della fama.

Oggi il suo premio è Alkimédon

che ha colto la trentesima vittoria.

Sorte divina, traguardo di valore:

stornò su quattro corpi di giovani lui

un ritorno odioso e voci

di scherno e sentieri furtivi.

E nel padre del padre infuse un vigore

avversario degli anni:

dimentica Hádes

quando è felice l'uomo.

Ma bisogna ch'io dica destando il ricordo

per i Blepsiádai un fiore trionfale di mani:

è la sesta ghirlanda, già, questa

che li incorona da gare frondose

Anche i morti hanno parte

alle offerte di rito, non c'è

polvere che seppellisca

il nobile splendore dei congiunti.

Udendo la Fama figlia di Hermês

Iphíon potrà dire a Kallímachos quale raggiante

onore in Olimpia Zeus ha donato

alla loro famiglia. Aggiunga eventi

ed eventi belli, e storni gli aspri malanni.

Lo prego: nel dargli il bene dovuto

non compia una scelta incerta.

Ma accresca, recando una vita

indenne, loro e la loro città.

PER EPHARMOSTOS DI OPUNTE,

LOTTATORE

Il canto d'Archiloco

risonante ad Olimpia,

il triplice fragore del kallínikos

bastò come guida ad Ephármostos

in corteo coi compagni al colle di Krònos.

Ma ora con questi dardi, dall'arco

delle Muse lungisaettanti, orsù bersaglia

Zeus dal rosso bagliore

e il sacro picco dell'Elide,

quello che un giorno Pélops il lidio eroe

guadagnò, dote bellissima di Hippodámeia -

e scaglia su Pito una freccia

dolce, alata. Non impugnerai parole caduche

facendo vibrare la cetra per gesta di un lottatore

della nobile Opunte, lodando lei e suo figlio:

lei che è un feudo di Thémis e d'Eunomía salvifica,

figlia gloriosa. E fiorisce d'imprese

presso la tua corrente, o Kastalía,

e quella dell'Alpheiós:

onde un culmine di corone erge alla fama

la metropoli dei Locri luminosa di alberi.

Ed io infiammando di canti

impetuosi la città amica,

più rapido di magnanimo

destriero e di nave alata invierò

quest'annuncio dovunque,

se per vera destrezza dono del fato

coltivo lo scelto giardino delle Chárites:

esse concedono il bello - e un favore

divino fra prodi e sapienti

gli uomini. Come altrimenti

poté agitare la clava

contro il tridente la mano di Heraklês,

quando a Pilo appostato incalzava Poseidôn,

lo incalzava lottando con l'arco d'argento

Phoîbos, né tenne immobile Hádes la verga

onde guida i corpi degli uomini giù per la concava

strada dei morti? Questo racconto,

o bocca, rigetta fuori di me!

Perché insultare gli dèi

è sapienza perversa, e il vanto inopportuno

suona all'unisono con la follia.

Non blaterare ora storie siffatte:

lascia la guerra e i duelli

fuori degli immortali; e porta la lingua alla città.10

di Protogéneia, dove - volere di Zeus dal tuono

crepitante -

Pýrrha e Deukalíon scesi dal Parnassós

posero casa dapprima, e fondarono senza connubio

un popolo unito, una stirpe rocciosa,

gente dal nome di pietra.

Desta per loro una via melodiosa di versi:

loda il vino vecchio, ma il fiore di canti

nuovi. È leggenda:

la forza dell'acqua sommerse

la nera terra, ma tosto

per le arti di Zeus un riflusso

prosciugò la marea. Da quelli in origine

vennero i vostri antenati dai bronzei

scudi: figli di figlie del ceppo

di Iapetós e di forti Kronídai,

re indigeni sempre.

Finché il signore d'Olimpo,

rapita la figlia di Opûs

dal suolo degli Epèi, sereno

le s'unì tra i gioghi del Máinalon e la condusse

a Lokrós - che l'età non cogliesse legato

a un fato spoglio di prole. La sposa ospitava il seme

supremo, e godette l'eroe al vedere il figlio supposto

e dal nome dell'avo materno

gli dette nome:

fu uomo di forma e di gesta

mirabili: cui donò la città e il governo del popolo.

Vennero ospiti a lui

da Argo e da Tebe,

ed Arcadi e anche Pisati;

ma tra i coloni onorò soprattutto Menóitios

prole di Áktor ed Aigina. E il figlio di lui con gli

Atreîdai

giunto alla piana di Téuthras stette a piè fermo, solo,

con Achilléus, quando respinti i Danai valorosi

Télephos incalzava alle marine prore:

e fu chiaro a chi intende

qual era l'animo forte di Pátroklos.

Mai, lo esortò il nato da Thétis, da allora

mai più si schierasse in Áres

mortifero lungi dalla sua

lancia domatrice di uomini.

Io sia trovatore di versi, capace

d'incedere sul carro delle Muse;

audacia e forze copiose

mi aiutino. In onore al successo e al senso ospitale,

per l'istmico diadema di Lamprómachos

giungo, dacché ambedue conquistarono

il premio in un unico giorno.

E due altre vittorie alle porte

di Corinto vennero poi

ed altre ancora nel seno di Nemea per Ephármostos.

Ebbe ad Argo il trionfo virile, ragazzo ad Atene.

E che lotta, sottratto agli imberbi, per coppe

d'argento affrontò in Maratona contro più anziani!

Uomini adulti con gioco di agili scatti

prostrò senza cadere,

e tra quale applauso percorse in giro l'arena,

giovane e bello e superbo d'azioni bellissime!

Di nuovo mirabile apparve

alla gente parrasia

raccolta alla festa di Zeus Lykaîos;

e fu così anche quando il caldo rimedio dei gelidi venti

ottenne a Pellene. Rispondono ai suoi trionfi

la tomba di Iólaos ed Eleusi marina.

Ciò che è per natura primeggia sempre. Molti

tra gli uomini con doti apprese

corrono in cerca di gloria,

ma senza il dio niente

è più infausto, a tacerlo. Ci sono

strade che portano in là più di altre:

non tutti un medesimo impegno

ci nutrirà. Il sapere

è impervio. Offrendo questo cimento

grida a gran voce, e sicuro,

che in sorte divina quest'uomo nacque

forte di mani, destro di membra e di sguardo ardito -

e che l'ara del tuo convito incoronò

vincendo, o Áias Iliádes.

PER HAGESIDAMOS DI LOCRI EPIZEFERI,

PUGILE RAGAZZO

L'olimpionico figlio di Archéstratos

leggete nella mia mente: egli

vi è scritto - ed io scordavo di dovergli un canto

dolce. Ora tu, o Musa, e tu figlia

di Zeus Verità, sollevate la mano,

arrestate l'onta di inganni

che frodano l'ospite.

Perchè un futuro che giunge da lungi

ha tradotto in vergogna il mio debito profondo.

Ma l'interesse sa tacitare il biasimo

aspro: guardate ora l'onda che scorre

come travolge il sasso rotolante,

e come un inno partecipe

noi pagheremo in grazia all'amico.

Esattezza infatti governa la città dei Locri Zephýrioi,

ed hanno in onore Kalliópe

e il bronzeo Áres. La lotta

di Kýknos travolse anche Heraklês

strapotente: pugile vincitore in Olimpia,

sia grato ad Ílas

Hagesídamos come

Pátroklos ad Achilléus.

Affilando chi è nato al valore, l'uomo -

e la mano del dio - può

innalzarlo a gloria prodigiosa.

Senza fatica pochi raccolgono gioia

che su d'ogni altra è luce per la vita.

Un volere divino mi spinge a cantare l'eletto agone.11

di Zeus: sei giochi che presso la tomba antica

di Pélops fondò, prostrato -

aveva ucciso i figli

di Poseidôn, Ktéatos perfetto

ed Éurytos: li uccise per riscuotere, forza

contro forza, lo stipendio servile dal superbo

Augéas. Un agguato tra i boschi di Cleone,

e li domò sul cammino Heraklês:

poiché già essi l'esercito

tirintio appostato nel fondo

dell'Elide gli avevano annientato,

i Molíones tracotanti. Sí, ma non molto

dopo il re degli Epèi traditore

degli ospiti vide la patria

opulenta sotto fuoco impietoso

e colpi d'acciaio affondare in un solco profondo

di sciagura: la sua città.

Arduo stornare

l'assalto dei più forti.

E alla fine anche lui sconsiderato

incontrò la cattura, e non scampò

all'abisso di morte.

Allora il forte figlio di Zeus, raccolte

in Pisa le genti al completo e la preda

tutta, tracciò per il padre eccelso uno spazio sacro

e segnò d'un recinto l'Altis sul terreno

sgombro, e la piana all'intorno

destinò al sollievo di conviti,

onorando il corso dell'Alpheiós

tra i dodici dèi sovrani; e al colle

di Krónos diede nome, che prima,

nel regno di Oinómaos, innominato era avvolto

in torrenti di neve. Al rito inaugurale

attesero prossime le Moîrai

e il testimone unico

di verità esatta,

il Tempo. Che procedendo dichiarò con chiarezza -

come diviso il dono

della guerra consacrò le primizie,

e la festa quadriennale

fondò con la prima Olimpiade

e i premî di vittoria.

Chi dunque la nuova

corona ottenne

per mani e piedi e col carro,

fissando la mente al vanto trionfale

e col proprio valore acquistandolo?

Nello stadio primeggiò correndo

un percorso diritto il figlio di Likýmnios,

Oionós: veniva da Midea con le sue genti;

Échemos nella lotta illustrava Tegea;

Dóryklos ebbe il trofeo del pugilato -

ed abitava la città tirintia;

coi quattro cavalli vinse

da Mantinea Sâmos di Haliróthios;

col giavellotto Phrástor centrò il bersaglio;

Nikéus col sasso roteando la mano giunse

oltre tutti, e proruppero in grande

applauso i compagni. Poi

infiammò la sera l'amabile

volto della bella luna -

il recinto fu un suono di canti festosi,

gioiosi al modo trionfale.

Ed ancora, seguendo gli esordi

ancestrali in onore d'un nome stretto

a orgogliosa vittoria intoneremo il tuono

e il dardo saettato di mano

da Zeus rombante,

la folgore abbacinante, emblema

per ogni trionfo.

Al flauto risponderà rigogliosa

la musica dei canti,

che a Dírke gloriosa apparvero: tardi, sí,

ma come da sposa un figlio agognato

al padre che già percorre l'inverso di giovinezza -

e di molto affetto gli riscalda il cuore.

Perché ricchezza che attende un pastore

straniero, un intruso,

è cosa odiosa a chi muore.

Così chi compie nobili gesta ma senza canto

scende, Hagesídamos, alla dimora

di Hádes, guadagna allo sforzo una gioia breve,

e fu vuota attesa: su te una lira di voce soave

e il flauto dolce spargono incanto,

e alimentano un'ampia rinomanza

le pieridi figlie di Zeus.

Io mi stringo a entusiasmo, e abbraccio la stirpe

gloriosa dei Locri, e di miele

ne inondo la città guerriera.

E l'amabile figlio d'Archéstratos

lodo. Lo vidi trionfare per forza di mani

presso l'altare olimpio,

al tempo di giovinezza:

bello di forme,

e immerso nell'ora fiorente che già

vietò a Ganymédes la morte

sfrontata, grazie alla dea di Cipro.

PER HAGESIDAMOS DI LOCRI EPIZEFERI,

PUGILE RAGAZZO

Talvolta per l'uomo la cosa più utile

è il vento; altra volta le acque celesti,

figlie piovose della nuvola.

Quando lo sforzo trionfa, inni di miele

sono preludio di voci

future e promessa giurata per gesta grandi.

Scevra d'invidia questa lode

sta per chi vince ad Olimpia: ed è pascolo

della mia lingua, invitante -.12

ugualmente dal dio l'uomo fiorisce in arti sagge.

Ora sappi, figlio di Archéstratos,

Hagesídamos: per il tuo pugilato

un dolce ornamento di canti porrò risonante

sulla corona di aureo ulivo,

onorando la stirpe dei Locri Zephýrioi.

Al loro corteo adunatevi; io vi prometto,

o Muse: una gente ospitale

ed esperta del bello, alta

in sapienza e guerriera incontrerete.

Perché - la fulva volpe e i leoni

ruggenti non mutino l'indole innata!

PER ERGOTELES DI IMERA, DOLICODROMO

Ti supplico, figlia di Zeus Eleuthérios,

proteggi Imera possente, o salvifica Týche.

Tu sul mare piloti le navi

veloci e per terra le mobili guerre

e i consigli in assemblea. Intanto

le speranze degli uomini avanti, spesso,

e indietro rotolano solcando sogni fluttuanti:

al mondo nessuno ancora un segno

certo di ciò che sarà scoperse dal dio,

ogni idea del futuro è cieca oscurità.

E spesso le attese dell'uomo cadono -

contro la gioia; altri si imbattono

in dure procelle, poi

in un attimo breve il dolore trascorre in alta felicità.

Figlio di Philánor, così anche tu: inonorata certo

come gallo di lotte domestiche nel focolare avito

la gloria dei tuoi piedi spargeva i suoi petali,

se la rivolta, uomo contro uomo, non ti privava

della patria Cnosso.

Ma ora incoronato ad Olimpia

e due volte in Pito, e all'Istmo, o Ergotéles,

esalti i tiepidi bagni delle Ninfe,

e le frequenti nei tuoi poderi.

PER XENOPHON DI CORINTO,

STADIODROMO E PENTATLETA

Lodo una casa tre volte olimpionica,

aperta ai cittadini e cortese

con gli ospiti: riconosco

Corinto opulenta, atrio

di Poseidôn Ísthmios, splendida di gioventù.

Perché Eunomía vi dimora e con lei la sorella,

base sicura di città,

Díke ed Eiréne cresciuta insieme,

datrice di beni agli uomini,

auree figlie di Thémis dal buon consiglio -

esse sanno respingere

Hýbris, madre arrogante di Kóros.

È un tema nobile il mio, franca

fiducia mi muove la lingua a dire.

Non si nasconde il talento innato.

E a voi, figli di Alátas, spesso

trionfale splendore donarono,

a voi che per alte virtù primeggiaste

nei giochi sacri - e spesso

in cuori umani invenzioni

di tempo remoto versarono

le Hôrai fiorite. Ha il suo creatore ogni arte.

Donde comparvero i canti di Diónysos

col ditirambo che porta un toro?

Chi agli strumenti equestri aggiunse

la briglia, o ai templi impose il duplice

re degli uccelli? Soave spira la Musa, qui,

Áres fiorisce qui di mortifere lance di giovani.

Tu che regni supremo, ampio,

su Olimpia, risparmia invidia

per sempre alla mia lode, o Zeus padre:

conserva incolume questa città

e drizza il vanto del fato di Xenophôn.

Accogli il rito festivo, il corteo di corone

che porta con sé dalla piana di Pisa,

vincitore nel pentatlo ed anche

nella corsa allo stadio. Non giunse

a tanto nessun mortale finora.

Apparve alle Istmiadi

e due ghirlande di apio

lo cinsero; né dicono altro i giochi nemèi.

Sta di suo padre Thessalós il lampo

dei piedi ai flutti dell'Alpheiós,

e in Pito ha la gloria di stadio

e diaulo nel giro d'un sole,

e in quell'unico mese ad Atene rocciosa

tre premî un giorno di rapido piede

gli pose stupendi intorno alla chioma;

sette ne vinse alle feste Hellótia. Ma è troppo

lungo un canto che assieme all'avo,

a Ptoiódoros, segua Terpsías ed Erítimos

nei giochi marini di Poseidôn.

E i vostri trionfi a Delfi.

e nel campo del leone! Uno stuolo di glorie

onde sfido molti: perché -

non saprei quanti sono i sassi del mare.

C'è una misura in tutto,

e l'attimo giusto è il più adatto a coglierla.

Io, cittadino privato in pubblica nave,

cantando e senno di antichi

e guerra in eroiche virtù

non mentirò su Corinto: Sísyphos

divinamente sottile nelle sue arti

e Médeia che contro il padre scelse

le nozze, e portò in salvo

la nave Argó e i suoi uomini.

Così alla guerra il tempo antico

li vide sotto le mura di Dárdanos.13

dalle due parti decidere gli scontri:

gli uni coi figli di Atréus

a riprendere Heléna, gli altri

a scacciarli. Glaûkos venuto di Licia

temevano i Danai, lui che dinanzi

a loro vantava il regno del padre

nella città di Peiréne,

e il retaggio opulento e la reggia.

Molto egli aveva sofferto intorno alla fonte

agognando a domare il figlio

di Gorgó cinta di serpi, Pégasos.

Finché un morso d'anelli d'oro

gli diede la vergine Pallás, e da sogno

divenne realtà - e disse: «Dormi, o re Aiolídes?

Prendi questo filtro di cavalli, e mostralo

al padre Damaîos, e un toro smagliante sacrifica».

Così udì assopito nell'ombra

parlargli la dea dall'egida

scura, e si riscosse di soprassalto.

Preso il portento al suo fianco

corse felice dal vate di quei luoghi,

ed al figlio di Kóiranos narrò la vicenda

tutta: come per suo responso

la notte avesse dormito

sull'ara della dea, e come lei stessa,

la figlia di Zeus lancia di folgore,

gli diede un oro che doma la mente.

Presto ubbidisca al sogno - ordina

l'indovino - e quando al possente Gaiáochos

scannerà il toro scalpitante,

dedichi tosto un altare ad Atena Hippía.

Come cosa leggera compie anche ciò che giuravi

di no, e che non speravi, la forza dei numi.

Vinse così d'un balzo il cavallo

alato il forte Bellerophóntes,

tendendogli intorno alla bocca l'incanto

che mitiga; e in groppa armato

di bronzo danzava già la danza guerriera.

Con lui sterminò delle Amazzoni

il popolo arciere, muliebre, colpendo

dai gelidi seni del cielo deserto,

e Chímaira soffio di fuoco, e i Solimi.

Io tacerò il suo destino.

Pégasos in Olimpo accolgono le greppie eterne di Zeus.

Roteando dardi diritti

dentro al bersaglio ho da vibrare

con mano forte i miei molti strali.

Perché alle Muse dal trono splendente

ed agli Oligaithídai pronto al servizio io giunsi.

In breve parola riuniti dirò i trionfi

all'Istmo e a Nemea - verace

il dolce bando del nobile araldo

sessanta volte in entrambi i luoghi

congiurerà con le mie parole.

I loro successi ad Olimpia

già so di averli cantati,

e quelli futuri saprò celebrarli, allora.

Ora è giusto sperare, ma la realtà

è del dio: se il genio innato avrà corso,

l'esito affideremo a Zeus

e a Enyálios. Sei le vittorie sotto

il ciglio parnasio, e quante ad Argo

e in Tebe! E quante agli Arcadi

arresterà l'ara regale del padre Lykaîos,

e Pellene e Sicione

e Megara e il bel recinto degli Aiakìdai:

altre Eleusi e Maratona radiosa

e le città sontuose sotto la cresta alta

dell'Etna, e l'Eubea. Se scruti la Grecia

ne troverai più di quante abbraccia lo sguardo.

Esci con agile piede dal mare!

Zeus compitore, dona rispetto e dolcezza di gioie.

PER ASOPICHOS DI ORCOMENO,

STADIODROMO

Voi che aveste le acque cefisie

e abitate una terra bella di puledri,

o famose nel canto Chárites regine

della limpida Orcomeno, degli antichi Minii custodi,

udite: io prego. Perché per voi piacere

e dolcezza si compiono ai mortali, sempre -

se uno abbia talento bellezza gloria.

Senza le sacre Chárites non intrecciano

danze, non banchetti

gli dèi: dispensiere

di tutto in cielo - i troni accanto

ad Apollo Pýthios dall'arco d'oro -,

venerano la maestà perenne del padre olimpio.

O augusta Aglaía

ed amica del canto Euphrosýne, figlie

del dio supremo, ascoltate ora; e tu Thalía

amante del canto, guarda il corteo che per sorte amica

avanza leggero. A cantare Asópichos

nel modo lidio con mestiere di poeta venni,

perché vinse ad Olimpia la città dei Minii

per grazia tua. Alle nere mura della casa

di Persephóne ora va, Echó, e reca

al padre il messaggio di gloria: e propizia

a Kleódamos, digli del figlio - come per lui

nella vallata celebre di Pisa

la giovane chioma con ali di nobili gare

inghirlandarono.